La legge 104/1992 ha stabilito la possibilità di far avere delle agevolazioni per quei lavoratori che desiderano assistere un proprio familiare con handicap.
I permessi consistono in 3 giorni di permessi retribuiti, ogni mese, per poter aiutare il proprio familiare a svolgere talune attività che, non essendo autosufficiente, non potrebbe fare da solo.
I familiari che possono richiedere tali permessi sono: il coniuge, il genitore, il parente affine entro il 2° grado (nonni, fratelli) o entro il 3° grado, qualora genitori o coniuge siano deceduti, o a loro volta affetti da patologia invalidante, con più di 65 anni.
Gli abusi della legge 104: alcuni casi
La Corte di Cassazione di recente si è pronunciata sul caso di un dipendente di un’azienda, che è stato scoperto da un investigatore incaricato dal suo datore, con l’ordinanza n° 17102/2021.
L’uomo ha usufruito in diverse occasioni dei permessi della legge 104/92, ma non per assistere la madre malata, bensì per recarsi a fare compere, e poi andare al mare con la sua famiglia. E’ evidente che tali attività non sono compatibili con l’assistenza che avrebbe dovuto offrire alla madre, ed ha quindi commesso una violazione dei principi di buona fede e correttezza nei confronti del datore di lavoro, ma anche dell’ente assicurativo, che retribuisce, nei giorni di permesso, il dipendente al posto del datore.
La Corte ha quindi ritenuto legittimo il licenziamento disciplinare, a fronte di un abuso del diritto di richiedere i permessi, sancito dalla legge 104/92.
Non avendo inoltre comunicato il cambio di residenza della madre, il dipendente ostacolava anche i legittimi controlli, da parte del datore di lavoro, che così ha fatto ricorso all’aiuto di un investigatore privato, per poter scoprire e documentare le condotte illecite, alla base del licenziamento.
Con la sentenza 9749 del 2016, la Corte di cassazione ha respinto il ricorso di un uomo che, nei giorni in cui usufruiva dei permessi secondo la legge 104/92, anziché recarsi presso l’abitazione della suocera disabile, è stato colto, in varie occasioni, presso dei terreni di sua proprietà, ove effettuava dei lavori, per conto proprio.
A nulla sono valsi i ricorsi, fatti dal dipendente, contro il licenziamento, posto in essere dal suo datore di lavoro. Al pari del caso precedente, la condotta del lavoratore è contraria ai principi di buona fede e correttezza verso il proprio datore, affermando infatti la Corte: “…ha già considerato che deve ritenersi verificato un abuso del diritto allorché i permessi ex lege n. 104 del 1992 vengano utilizzati non per l’assistenza al familiare disabile, bensì per attendere ad altre attività, con conseguente idoneità della condotta, in forza del disvalore sociale alla stessa attribuibile, a ledere irrimediabilmente il rapporto fiduciario con il datore di lavoro”
Allo stesso modo, la Cassazione ha anche ripetuto la legittimità del controllo, da parte del datore, mediante il ricorso ad un’agenzia investigativa: “ciò posto occorre dare continuità all’insegnamento che ha considerato legittimo il controllo finalizzato all’accertamento dell’utilizzo improprio dei permessi ex. I. n. 104 del 1992, art. 33, suscettibile di rilevanza anche penale, essendo stato effettuato al di fuori dell’orario di lavoro ed in fase di sospensione dell’obbligazione principale di rendere la prestazione lavorativa”
Respinta anche la motivazione che, presso l’azienda, non era stato affisso il codice disciplinare così come previsto dallo Statuto dei Lavoratori – l. 300 del 1970: secondo la Suprema Corte, infatti, in materia di licenziamento disciplinare, tale obbligo non riguarda l’applicazione di norme penali, o per sanzionare condotte antietiche, come nel caso di specie: “..in materia di licenziamento disciplinare, il principio di necessaria pubblicità del codice disciplinare mediante affissione in luogo accessibile a tutti non si applica nei casi in cui il licenziamento sia irrogato per sanzionare condotte del lavoratore che concretizzano violazione di norme penali o che contrastano con il cosiddetto “minimo etico” o inosservanti dei doveri fondamentali connessi al rapporto di lavoro”
Le finalità assistenziali consentite
L’assistenza al proprio congiunto disabile, tuttavia, non deve essere intesa necessariamente come una vicinanza continua ed ininterrotta all’assistito. Bene può essere che, trattandosi di un congiunto con menomazioni psico-fisiche, non possa attendere ad alcune attività, per le quali necessita dell’aiuto di qualcuno: ad esempio fare delle compere, eseguire dei pagamenti presso degli sportelli, recarsi presso uffici per adempiere a pratiche burocratiche etc. etc.
E’ il caso della c.d. “assistenza indiretta”, che si ha ogni qualvolta si fruiscano di permessi secondo la legge 104, per svolgere varie attività per la persona assistita, ma fuori dal suo domicilio.
Inoltre è legittimo assentarsi dal proprio lavoro per seguire un corso inerente la malattia del proprio congiunto: è il caso oggetto dell’ordinanza n. 23434/2020: la dipendente di un’azienda si era assentata per 3 giorni da lavoro, per assistere il padre malato di Alzheimer, ma assentandosi mezza giornata dal domicilio di costui per seguire un incontro di formazione sulla patologia del padre.
Nel caso di specie “la Corte d’Appello ha ritenuto insussistente l’abuso del diritto da parte della dipendente in quanto la stessa ha utilizzato “un numero di ore ben oltre quelle del suo orario di lavoro all’assistenza e all’accudimento del padre” e che “non poteva ritenersi provato che la (lavoratrice) avesse utilizzato i permessi per svolgere solo o prevalentemente attività nel proprio interesse.”
Abusi dei permessi l. 104 ed agenzie investigative
Come quindi visto nei vari casi analizzati, è importante saper distinguere se il collaboratore dell’azienda sta effettivamente svolgendo delle attività correlate all’assistenza di un proprio congiunto o meno. Nel dubbio, ricorrere all’attività di un investigatore privato, può aiutare a stabilire se vi è o meno un comportamento fraudolento, come in alcuni dei casi sopra descritti.
Si può dunque, a fronte di un’attività investigativa corretta, arrivare al licenziamento disciplinare, oppure evitare di porre in atto una simile misura disciplinare, in tutti quei casi in cui il collaboratore non stia facendo nulla di illegale, prestando assistenza indiretta, cosa consentita dalla normativa. In quest’ultimo caso si eviterebbero spese legali, ed il risarcimento dovuto al dipendente che dovrà essere reintegrato.
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