A volte capita che dei genitori abbiano un figlio che non studia, e non cerca lavoro, passando le giornate in compagnia di amici, e magari cercano dei lavori occasionali, per poter pagare i propri svaghi.
La Giurisprudenza ha affrontato diverse volte la tematica dell’assegno di mantenimento al figlio che, pur essendo maggiorenne, non è però in grado di essere autonomo dal punto di vista economico, ed è anzi un fannullone.
In tempi recenti la Corte ha affrontato nuovamente tale situazione su tale attuale e delicato argomento.

 

L’età fino alla quale vige l’obbligo del mantenimento

 

Sicuramente l’obbligo del mantenimento persiste fintantoché la prole è minorenne, e nei casi di handicap gravi al punto da pregiudicarne la possibilità di essere autonomi, e di trovare un’occupazione.
Per i figli maggiorenni, invece, come già analizzato nell’articolo riguardo il loro mantenimento, l’obbligo deve essere oggetto di valutazione, da parte del giudice, che decide in base alle condizioni specifiche del soggetto, e della sua famiglia.

Innanzitutto l’obbligo di mantenimento decade nei casi in cui il figlio, dopo aver conseguito un titolo di studio, ha avuto un periodo di tempo congruo per potersi inserire nel mondo del lavoro.
Il figlio quindi ha un obbligo, una volta terminati gli studi, di ricercarsi attivamente un lavoro da svolgere, poiché perderà il diritto al mantenimento.

Secondo la Cassazione, pur avendo i genitori l’obbligo di dimostrare che il loro figlio maggiorenne è un fannullone, la sua colpevolezza diventa presumibile al crescere dell’età: non è possibile che, con il passare degli anni, non abbia infatti mai ricevuto un’offerta di lavoro.

Il Giudice quindi può stabilire il limite, tenuto conto della possibilità di trovare un lavoro, anche da parte di un laureato, eventualmente, una volta completati gli studi, in una data area economica. Il giudice nell’esprimere tale valutazione può avvalersi dei dati disponibili dell’ISTAT, al fine di stabilire il tempo medio di ingresso nel mondo del lavoro da parte di un giovane, una volta compiuti gli studi.

La Giurisprudenza ha innalzato tale limite, spesso, a 35 anni, ma nei casi di chi abbia intrapreso un percorso di studi molto difficile (ad esempio in medicina), o con 30 anni nel caso di una laurea che non richieda successive specializzazioni (ad es. in economia e commercio).
Tale limite si può abbassare notevolmente, in tutti quei casi in cui il giovane non abbia intrapreso alcun percorso di studi universitari, o si attardi a laurearsi: i genitori potrebbero dimostrare che sia sua intenzione dimostrare che non intende né terminare gli studi, né intraprendere alcuna attività lavorativa.

 

Il mantenimento in relazione alle offerte di lavoro rifiutate o accettate

 

Anche il terminare gli studi, quindi, e ricercare attivamente un’occupazione, non pone però in capo al figlio maggiorenne un diritto a percepire gli assegni di mantenimento vita natural durante.
La Corta di Cassazione ha stabilito infatti come sia un dovere del figlio di attivarsi per rendersi comunque autonomo, ed accettando, seppure temporaneamente, di svolgere dei lavori non corrispondenti alle proprie ambizioni ed aspirazioni.

Ciò vuol dire che un figlio potrà ancora ottenere gli assegni dai propri genitori, qualora dimostri di essersi attivato al fine di trovare un lavoro, adeguandosi alle effettive offerte di mercato, eventualmente ridimensionando le proprie aspettative professionali.

Quindi anche il conseguimento di una specializzazione, dopo la conclusione degli studi universitari, non possono essere una scusante per non lavorare, ad esempio perché non si riescono a superare gli esami di Stato previsti per l’esercizio della propria professione (di Avvocato, Architetto o Ingegnere, ad esempio), oppure perché superato l’esame ci si attardi ancora ad iscriversi all’albo dei professionisti dell’Ordine corrispondente, o non si proceda ad acquisire clientela.

Quindi, anche nei casi di specie, in cui si sia concluso interamente il proprio percorso formativo, ma non si riesca ad iniziare a svolgere la professione corrispondente, non si può andare oltre i 30-35 anni di età per richiedere il sostegno economico dei propri genitori. Oltre questo termine il figlio dovrà cercare un lavoro, anche se non ritenuto adeguato ai propri studi, ed alle proprie ambizioni, al fine di rendersi indipendente economicamente.

 

La perdita del diritto al mantenimento, dopo aver trovato lavoro

 

Dal momento in cui il figlio trova un lavoro, che gli permetta di essere autonomo e quindi di non dover richiedere il mantenimento ai propri genitori, egli perderà in via definitiva tale diritto, anche qualora dovesse perdere il posto, anche a cause a lui non imputabili.

In una sentenza la Corte di Cassazione (sentenza n. 21773/2008 prima sez. civile) ha stabilito che il figlio che inizia a lavorare, anche con il periodo di prova di 6 mesi, ancora in corso, perde il diritto al mantenimento già dopo il 1° mese di lavoro, e dunque tale diritto si estingue, anche in futuro.

Il Giudice ha infatti stabilito che è sufficiente la mera potenzialità, da parte di un giovane, di produrre un reddito tale da renderlo autonomo, per far decadere il diritto al mantenimento.
Quindi non sembra ammissibile un ripensamento, dopo essersi resi indipendenti. La Suprema Corte (Cass. Civ. Sez. II 07.07.2004 n. 12477) ha infatti deciso che, nel caso in cui un figlio abbia dimostrato di avere raggiunto l’autonomia, un suo rientro presso la famiglia d’origine non sia più da prendere in considerazione.

In simili casi al genitore sarà sufficiente dimostrare che il figlio sia in grado di lavorare, e quindi di essere autonomo, oppure che, seppur messo nelle condizioni di procurarsi un reddito, tale da consentirgli di vivere al di fuori dell’ambito familiare, non abbia poi voluto proseguire, in base ad una sua specifica volontà.

 

 

Share This