Come già spiegato negli articoli sulla concorrenza sleale da parte dell’ex dipendente
e del dipendente dimissionario nel rapporto di lavoro è importante il rispetto di diverse norme, sancite sia dal codice civile sia da quello penale, e non solo degli obblighi o dei valori di carattere etico, pure importanti in ogni relazione di carattere lavorativo.
Ebbene, come già accennato in precedenza, la violazione di tali norme può comportare delle sanzioni pesanti per chi se ne rende colpevole, sia esso un dipendente, oppure un manager o un socio di un’impresa.
L’infedeltà aziendale: cosa dice il codice civile
Con la sottoscrizione del contratto di lavoro, ci si assume degli obblighi ben precisi, espressi nell’art. 2105 del codice civile:
“Il prestatore di lavoro non deve trattare affari, per conto proprio o di terzi, in concorrenza con l’imprenditore, né divulgare notizie attinenti all’organizzazione e ai metodi di produzione dell’impresa, o farne uso in modo da poter recare ad essa pregiudizio”
Quindi il dovere di fedeltà verso il proprio datore di lavoro, o comunque sia verso la propria Società, si prefigura come un obbligo a non porre in essere degli atti di concorrenza sleale, non divulgando notizie ed informazioni riservate a terzi.
Le informazioni possono essere relative al know-how dell’azienda, metodi, procedure, ma anche notizie riguardanti le finanze della società, o difficoltà di varia natura, che solitamente non è bene divengano di dominio pubblico, potendo creare discredito sulla Società, e quindi una mancanza di fiducia da parte del mercato.
Per evitare che tali informazioni possano essere divulgate da un ex dipendente, è possibile ricorrere ad un patto di non concorrenza, così come definito dall’art. 2125 del codice civile. Tramite esso è possibile vincolare il dipendente, al fine di impedirgli di sfruttare informazioni riservate, compiendo atti di concorrenza sleale, dopo la fine della sua collaborazione con l’azienda.
L’art. 2598 del codice civile definisce gli atti di concorrenza sleale, ovvero tutti quei comportamenti che, messi in atto da parte di un concorrente, hanno come unica finalità quella di danneggiare un’impresa rivale.
L’infedeltà aziendale ed il codice penale
L’infedeltà aziendale non è prevista solo dal codice civile, ma le condotte alla base di un comportamento sleale, volto cioè ad alterare il normale gioco della competizione sul mercato, sono previste e quindi punite anche dal codice penale.
L’art. 621 del codice penale, titolato “Rivelazione del contenuto di documenti segreti” prevede infatti che:
“Chiunque, essendo venuto abusivamente a cognizione del contenuto, che debba rimanere segreto, di altrui atti o documenti, pubblici o privati, non costituenti corrispondenza [c.p. 616], lo rivela, senza giusta causa, ovvero lo impiega a proprio o altrui profitto, è punito, se dal fatto deriva nocumento, con la reclusione fino a tre anni o con la multa da euro 103 a euro 1.032 [c.p. 29, 262] (1).
Agli effetti della disposizione di cui al primo comma è considerato documento anche qualunque supporto informatico contenente dati, informazioni o programmi (2).
Il delitto è punibile a querela della persona offesa [c.p. 120; c.p.p. 336] (3).”
Importante è che tale rivelazione di informazioni aziendali riservate abbia recato effettivamente nocumento, ovvero un pregiudizio di qualsiasi natura al titolare del diritto alla segretezza. In caso contrario non è possibile l’incriminazione per il reato anche solo tentato.
Su tale norma si è espressa la Corte di Cassazione, vd. la sentenza n. 17744, V sez. penale, del 16 gennaio del 2009: in tale occasione sono stati assolti 3 dipendenti di un’azienda dei cui segreti si erano impadroniti, al fine di costituirne una in proprio, concorrente. In tale caso non fu dimostrato né l’utilizzo dei documenti aziendali, né il pregiudizio di qualsiasi natura, recato alla società proprietaria di tali documenti.
Altro articolo che tutela la segretezza di informazioni aziendali è il 622 del codice penale, titolato “Rivelazione di segreto professionale”:
“Chiunque, avendo notizia, per ragione del proprio stato o ufficio, o della propria professione o arte, di un segreto(1), lo rivela, senza giusta causa(2), ovvero lo impiega a proprio o altrui profitto(3), è punito, se dal fatto può derivare nocumento(4), con la reclusione fino a un anno o con la multa da euro 30 a euro 516.
La pena è aggravata se il fatto è commesso da amministratori, direttori generali, dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari(5), sindaci o liquidatori o se è commesso da chi svolge la revisione contabile della società.
Il delitto è punibile a querela della persona offesa.”
Come è possibile notare, se tali informazioni vengono diffuse da amministratori, direttori generali, dirigenti, sindaci liquidatori e revisori contabili, la pena è aggravata, e quindi viene riconosciuta una maggior gravità se a commettere tale reato sono dipendenti, manager o comunque professionisti che, data la natura del loro incarico, sono solitamente più a contatto con l’azienda, e quindi conoscono anche informazioni riservate.
Infine, si può porre in atto degli atti di concorrenza sleale, in danno della propria azienda, rivelando segreti scientifici ed industriali. Fattispecie prevista e punita dall’articolo 623 del codice penale: “Rivelazione di segreti scientifici o industriali”, che così recita:
“. Chiunque, venuto a cognizione per ragione del suo stato o ufficio, o della sua professione o arte, di notizie destinate a rimanere segrete, sopra scoperte o invenzioni scientifiche o applicazioni industriali, le rivela o le impiega a proprio o altrui profitto, è punito con la reclusione fino a due anni.
2. Il delitto è punibile a querela della persona offesa.”
Le indagini per ottenere le prove
Poiché per riuscire ad ottenere ragione dinanzi al giudice, occorre, nei casi sopra descritti, avere sempre delle prove. Tale diritto spetta sempre al datore di lavoro, al fine di potersi difendere dal socio, o dal manager o semplice dipendente che stia ponendo in atto degli atti contrari all’obbligo di fedeltà aziendale.
E’ sempre possibile quindi richiedere lo svolgimento di indagini da parte di un’agenzia investigativa, rispettando le norme dello statuto dei lavoratori, ed avendo riguardo a non violare la sfera privata e personale di colui che diviene oggetto d’indagine.
L’investigatore non potrà infatti compiere delle indagini su:
– Credo religioso
– Orientamento politico
– Appartenenza sindacale
– Orientamento sessuale
Le indagini si articolano in due diverse fasi: nella prima l’investigatore acquisisce la documentazione relativa al dipendente che si presume essere infedele all’azienda (contratto di lavoro, curriculum etc.), mentre in una seconda fase si osservano i comportamenti dell’indagato, mediante pedinamenti o appostamenti, al fine di produrre delle prove fotografiche, o video.
Le prove raccolte, che possono essere anche sulle finanze del soggetto (come, ad esempio, dei redditi dovuti ad attività illecite), vengono alla fine raccolte e andranno ad integrare una relazione tecnica finale, stilata dal detective e che verrà consegnata al mandante, ovvero il legale rappresentante, o all’amministratore della Società.
Tale relazione avrà validità sia nel caso in cui la si voglia utilizzare a supporto di una procedura disciplinare, quanto nel caso in cui si volesse ricorrere presso il giudice per far valere i propri diritti, ed ottenere quindi il riconoscimento del danno subito, ed il relativo risarcimento.
Se pensi di dover tutelare al tua azienda da degli atti come quelli descritti in questo articolo, da parte di soci, collaboratori o dipendenti infedeli, contattaci per discutere insieme come affrontare al meglio la situazione, mediante i nostri professionisti esperti nell’ambito delle investigazioni aziendali.
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